Lo scrittore ci racconta il suo ultimo libro candidato finalista al Premio Costa Smeralda per la narrativa
Sottrarsi al peso dei ricordi è impossibile. Ma solo affrontando quelli più dolorosi si riesce a capire l’importanza delle persone che ci sono state vicino e che, forse, non siamo mai riusciti a comprendere davvero. Edito da La Nave di Teseo, “La traversata notturna” è l’ultimo romanzo dello scrittore piemontese Andrea Canobbio, un lungo racconto autobiografico in cui l’autore esplora la storia di due vite, quelle dei genitori, e i motivi della depressione che colpì il padre durante la sua infanzia. Questo viaggio nei ricordi porterà il narratore attraverso i luoghi misteriosi della città di Torino, teatro di animali fantastici, antichi reperti e, soprattutto, di memoria.
“La traversata notturna” è tra i libri candidati finalisti al Premio Costa Smeralda per la narrativa. In occasione della sua nomina, abbiamo raggiunto lo scrittore per parlare del suo nuovo romanzo, dei motivi che l’hanno portato a scriverlo e dell’importanza della città di Torino. Inoltre, il libro è anche tra i candidati al Premio Strega 2023.
Come si sente riguardo alla candidatura per il Premio Costa Smeralda?
Sono felice. Scrivere è un mestiere strano, si passano mesi e spesso anni in solitudine; il momento di un riconoscimento non può che fare piacere.
Ci può spiegare come è nato il suo romanzo?
Credo di aver sempre desiderato di raccontare la storia della mia famiglia, la depressione di mio padre, il carattere severo e forte di mia madre, ma pensavo di non esserne capace e forse avevo paura di farlo. E poi, dal momento che sono nato nel 1962 e mio padre si è ammalato nel 1967, ricordavo solo una parte della storia, quella in cui mio padre era irrimediabilmente angosciato e melanconico. Poi un giorno le mie sorelle mi hanno affidato le lettere che i miei genitori si erano scambiati da fidanzati. Leggendo le parole di quei due giovani innamorati mi sono riappropriato di una parte della storia familiare, una dimensione di sogni e desideri che non avevo conosciuto. E ho pensato che non potevo più rimandare e dovevo mettermi a scrivere
Com’è stato confrontarsi con delle esperienze personali – la depressione, il legame con i genitori – che l’hanno toccata molto da vicino?
È stato doloroso e difficile. Non ci sarei riuscito se non avessi usato gli strumenti della letteratura che amo, l’ironia e l’empatia che sono per me la trama e l’ordito della narrazione. Sapevo di nutrire un rancore immotivato nei confronti di mio padre, avercela con lui perché era stato malato era assurdo, e volevo fare i conti con quel sentimento che detestavo. Ma ignoravo di nutrire un risentimento anche nei confronti di mia madre, e di questo mi sono reso conto soltanto scrivendo.
C’è un episodio raccontato nel romanzo al quale è particolarmente legato?
In realtà il libro racconta proprio il tentativo di imparare a gestire gli episodi a cui si è “particolarmente legati”, quando sono episodi tristi e dolorosi. Ho immaginato un libro-archivio in cui sistemare una volta per sempre certe cose, una specie di libro pieno di cassetti in cui stipare la mia vita. Non so se ci sono riuscito. Dopo tutti questi anni, e così tante pagine scritte, non ho una soluzione: ogni tanto penso che liberarsi di quegli episodi non sia possibile, e che trasformarli in letteratura non sia sufficiente. Prima di essere una cura, la scrittura è sempre una ferita, un sintomo.
Torino fa da sfondo alla vicenda narrata, quanto è importante la città e qual è il suo rapporto con essa?
Fin dall’inizio sapevo che Torino doveva essere protagonista del libro insieme ai miei genitori. Mio padre era un ingegnere, ha progettato e diretto la costruzione di molti edifici cittadini. I miei genitori hanno vissuto sempre a Torino, la città per me è un teatro della memoria, ogni quartiere mi ricorda una storia legata alla vita dei miei. E poi c’è il carattere di Torino, come scriveva Natalia Ginzburg, una città “laboriosa, aggrondata in una sua operosità febbrile e testarda” e allo stesso tempo “svogliata e disposta a oziare e sognare”. La sua pianta ortogonale è stata un elemento di ispirazione molto importante per il libro.
Francesco di Nuzzo