L’ultimo saggio della scrittrice e giudice del Premio Costa Smeralda è un’importante riflessione sul rapporto tra uomo e tecnologia
Può il progresso tecnologico essere paragonato a una moderna forma di religione? Si, se viene privato della sua qualità scientifica più intrinseca: il dubbio. Quello dell’uomo con la tecnologia è un rapporto complicato e in costante evoluzione su cui Chiara Valerio – scrittrice e giudice del Premio Costa Smeralda – si è interrogata nel suo nuovo saggio“La tecnologia è religione“ , pubblicato da Einaudi nella collana Problemi Contemporanei. Il testo è una riflessione dell’autrice che esplora nel dettaglio la visione fideistica che la società moderna sta sempre più assumendo nei confronti del progresso, sul quale ha costruito delle vere e proprie festività comandate e rituali codificati. Dopotutto, come viene affermato nel libro, sia fede che tecnologia si occupano di salvezza: la religione di quella dell’anima nel regno celeste, la seconda, invece, della conservazione dei dati nel cloud, ovvero la salvaguardia di informazioni digitali. Così – potremmo parafrasare citando una famosa canzone – “…la gente si inchinava e pregava al Dio di neon che aveva creato“, per un’immortalità che neanche Gilgamesh avrebbe potuto prevedere.
Un rapporto difficile
Il rapporto tra uomo e tecnologia è un tema complesso e in costante evoluzione, veloce quanto velocemente corre il progresso scientifico. È innegabile che l’avanzamento tecnologico abbia migliorato la qualità della vita e permesso di affrontare sfide che in passato sarebbero state impossibili da superare. La tecnologia ha cambiato radicalmente il modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo tra di noi, tanto che verrebbe naturale pensare ai dispositivi tecnologici – siano essi uno smartphone o un paio di auricolari – come un’estensione del nostro corpo. E se da un lato c’è già chi auspica a un’integrazione fisica tra uomo e macchina, è lecito interrogarsi su quali possono essere gli effetti di questa eccessiva dipendenza nell’immediato futuro, a partire da problemi di carattere sociale. Il rischio a lungo termine non riguarda, infatti, solo la perdita di competenze e abilità manuali, ma anche l’isolamento sociale e l’alienazione. Tra mondi virtuali pronti a nascere, elaborate IA che possono svolgere la maggior parte dei lavori e un’integrazione sempre più presente nella vita quotidiana, la prossima sfida dell’essere umano sarà, forse, proprio quella di riconsiderare e trovare un posto nel mondo nuovo che si è creato.
Francesco di Nuzzo