La scrittrice ha vinto la sezione Narrativa del Premio Costa Smeralda 2024 grazie al suo ultimo libro Il sentimento del mare, edito da Einaudi
«Il prestigio vero di un premio deriva dalla serietà con cui vengono selezionati i titoli. E con serietà intendo anche lo spirito di ricerca con cui la giuria di un premio guarda al panorama editoriale. Trovarmi selezionata tra le voci così significative nel panorama contemporaneo è già un riconoscimento non da poco». Evelina Santangelo, scrittrice e traduttrice palermitana, ha deciso di esordire con un ‘grazie’ al Premio Costa Smeralda. Un omaggio che farà certamente piacere alla giuria di qualità, impressionata dalle pagine dei racconti apparsi come onde ne Il sentimento del mare, edito da Einaudi. Un viaggio che ha permesso di scavare nella profondità dell’anima in cerca delle parole giuste che possano identificare la propria vita.
Quando è nata l’esigenza di scrivere questo libro?
Il sentimento del mare ha avuto una lunga gestazione. Il primo concepimento è stato nel periodo di reclusione del covid, che ho vissuto come un male universale, come la manifestazione di una febbre dell’umanità e del pianeta. In quei giorni, quando non era possibile stare in spiaggia, ma non c’era nessun divieto di fare il bagno, ho iniziato a cercare nell’acqua gelida purissima solitaria del mare una forma di intimità e di integrità (era quello un momento rovinoso anche della mia vita). Riguardo al ruolo del mare nella mia scrittura, devo evocare Pedrag Matvejevič e il suo Breviario Mediterraneo: da un po’ di tempo a questa parte infatti sento fortemente la mia mediterraneità, cioè l’appartenenza a quell’incrocio di civiltà che oggi fa i conti con una delle più insostenibili catastrofi umanitarie.
Il libro mette insieme esperienze personali e storie legate ad altre vite vissute. Com’è riuscita a tenerle insieme?
Intanto, sono partita da una consapevolezza: che la mia singola esistenza non poteva essere misura di qualcosa così sconfinato, indomabile, pullulante di vita e di esistenze come il mare. Così, subito ho cercato di incrociare altre vite che nel mare avevano trovato un qualche senso, una ragione di sopravvivenza, lo slancio di un’avventura o anche la non speranza della fine. Il caso e una sorta di sesto senso mi ha portato a incontrare vite in cui il mare era sempre un modo di stare al mondo, di concepire o mettere alla prova la propria esistenza.
C’è un aspetto interessante del suo libro che è legata all’utilizzo del coltello come oggetto di lavoro dato che la sua vita si è divisa tra la terra e il mare. Cosa rappresenta per lei questo strumento?
È intanto un ricordo della mia infanzia, divisa tra la campagna e il mare, appunto. E il coltello. (ne tenevo uno in tasca pure io), in entrambi i casi, è uno strumento essenziale, vitale, direi. Il coltello è indispensabile per chi lavora nei campi, può essere salvifico per chi si trova in mare con un’ancora incagliata, ad esempio, o in mezzo a una tromba d’aria (c’è proprio un rito del coltello che si compie per spezzare la furia del mulinello). Mi è rimasta in mente ad esempio l’immagine del coltello che taglia la canna per trarne quella sorta di bambagia da mettere su un taglio. Mi ero ferita con il falcetto mentre vendemmiavo, ragazzina. Perdevo sangue. Il coltello ha permesso di porre rimedio all’emorragia. È dunque uno strumento di lavoro cui sono affezionata ma che nulla può dinanzi a una ferita interiore, lo strazio di sé.
Il mare non è solo lo scenario del libro ma il vero collante di queste storie. Quanto l’ha ispirata in questo racconto e nella sua carriera letteraria?
Ho cercato di raccontare il mare come manifestazione dell’esistenza sterminata e irriducibile nel tempo e nello spazio. Ho cercato di cogliere, del mare, non soltanto la potenza (spesso evocata in tanto cinema e letteratura) ma anche la fragilità (la fragilità del suo equilibrio oggi sempre più violato da un modo famelico di concepire il nostro stare nel mondo). Ho provato a evocare il mare anche nella sua natura radicalmente aliena che esige un’alterazione delle funzioni vitali per chi si immerge nelle sue profondità misteriose (conosciamo solo un quinto dei fondali marini, il mare è anche il mistero che ci circonda). Ho ripercorso il mio mare, dall’infanzia all’età adulta, e alla fine ho capito che misurarsi con il mare è come misurarsi con la vita: fragile, misteriosa, imprevedibile, dura, fatale. L’esperienza del mare mi ha resa più umana, e più in dialogo anche con ciò che umano non è.
Cosa significa per lei aver scritto questo libro e quanto l’ha aiutata a superare alcune difficoltà nel corso degli ultimi anni?
Il mare mi ha permesso di tornare a incontrare me stessa, dopo anni in cui avevo perduto persino la parola, cioè la capacità di nominare le cose e, nominandole, nominare anche me stessa. Ora, nominare è un modo di mettersi in dialogo: con se stessi e con il mondo. Così, ecco, essere riuscita a scrivere questo libro ha significato: rimettermi al mondo e nel mondo.
Riccardo Lo Re
Credits: Emanuele Perrone