A partire dal romanzo suggestivo della scrittrice caraibica Dionne Brand, A Map to the Door of Not Return, Erranze senza ritorni nasce dalla necessità di ripercorrere concetti come Water, Maps, Roads, Voyage, Forgetting, che ricorrono spesso nel testo della Brand quali punti fermi di un discorso sull’appartenenza.
I saggi raccolti in Erranze senza ritorni si soffermano sulla costruzione delle nuove origini dei migranti; sulle rappresentazioni letterarie dei soggetti in movimento; sulla poetica dell’erranza; sulla diaspora dei senza ritorno.
Lo spazio per eccellenza della contaminazione, del nomadismo, dell’erranza esistenziale in cui si aggrovigliano corpi e lingue, in un ritratto quasi antropologico del movimento, sembra essere una patria immaginaria da cui è difficile far ritorno.
Gli immigrati percorrono una ferita aperta tra due sponde trovandovi una nuova genesi, un nuovo punto di partenza: in mare aperto le coordinate familiari di casa e territorio, del terreno patrio, sfuggono, ridotte a sponde lontane. Abitare questo altrove, fare i conti con questo archivio liquido del mare significa accogliere l’idea che non esista una mappa per il ritorno, un cammino da ripercorrere a ritroso nella memoria. Il concetto di patria dunque diventa immaginario, sempre provvisorio e inaffidabile, praticabile ed esperienziale, e l’idea del ritorno diventa un filo rosso tra il voyage, il luogo della dislocazione e water, il luogo dell’appartenenza.