Chiara Valerio in un articolo su La Repubblica ha ricostruito la vicenda prendendo spunto dalle riflessioni della studiosa inglese Fiona Sampson
È sempre interessante conoscere davvero l’origine di un libro: l’ispirazione, l’idea originaria, e l’emozione provata dopo aver cominciato quel lungo percorso insieme ai singoli personaggi. Nel caso di Mary Wollstonecraft Godwin – meglio conosciuta come Mary Shelley – la curiosità è ancora più forte dato che il romanzo in questione è nientemeno che Frankenstein, pubblicato nel 1818. È un libro che si è guadagnato negli anni il termine ‘classico’. Da leggere almeno una volta nella vita. Ha appassionato generazioni di lettori che si sono immedesimati nelle vicende di Victor Frankenstein e della sua creazioni. Ma perché Mary Shelley arrivò a scrivere questo libro? Qual è stata la scintilla (in questo caso metaforica) che ha dato vita a questo straordinario capolavoro?
Il romanzo è stato il tema di un articolo di approfondimento firmato da Chiara Valerio. L’autrice e giudice del Premio Costa Smeralda ha dedicato un intero spazio su La Repubblica non solo alle sue riflessioni profonde sul testo di Mary Shelley – i temi della morte, della solitudine e del dolore – ma anche a quella che viene definita una scoperta che arricchisce il significato dell’opera. Secondo Fiona Sampson, poetessa e studiosa, autrice di Mary Shelley in Bath, «quel dolore di una morte ritenuta talmente ingiusta da dover essere riparata a ogni costo (la scomparsa prematura della madre di Victor), e quel dolore di essere rifiutati (le vicende della creatura di Frankenstein), affondano le radici nel rapporto tra l’autrice Mary Shelley e la sorella Fanny Imlay», figlia all’epoca illegittima di Mary Wollstonecraft e del diplomatico americano Gilbert Imlay. Come scrisse Esther Cross nel romanzo La donna che scrisse Frankenstein, il padre era solito portarle al cimitero di San Pancras a trovare la madre. Le due bambine, in quell’occasione, «si allenavano nella lettura esercitandosi con le incisioni sulle pietre». Un’immagine che riporta alla mente, per chi ama il cinema, il personaggio di Bella Baxter in Poor Things (Povere creature!) diretto da Yorgos Lanthimos sulla base dell’’omonimo romanzo del 1992 scritto da Alasdair Gray.
Fiona Sampson, incrociando lettere e diari di Mary Shelley, è riuscita a dimostrare che Frankenstein fu legato essenzialmente a un lutto: il suicidio della sorella Fanny. Ciò è avvenuto in una stanza d’albergo in Inghilterra. Un gesto estremo dovuto, molto probabilmente, a un rifiuto amoroso da parte di Percy Shelley, il futuro marito dell’autrice: «Bath e Swansea (città del Regno Unito) distano mezza giornata di carrozza, e Mary, il pomeriggio in cui la sorella si toglie la vita, annota sul diario con una precisione che Fiona Sampson suppone sia un alibi. – afferma Chiara Valerio – È possibile che Fiona abbia incontrato Percy e sia stata rifiutata, è possibile che Fiona abbia parlato con Mary e abbiano tragicamente discusso».
Riccardo Lo Re